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Guardate la «Taylor rule»: il vero pericolo è la deflazione

di Carlo De Benedetti

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Ho molto apprezzato l'appello del Sole 24 Ore, pubblicato in prima pagina domenica scorsa, in favore di interventi per garantire alle imprese la necessaria liquidità. Era esattamente il tema che andavo discutendo in quelle ore con alcuni miei interlocutori americani, persone da cui in questi giorni attendiamo risposte importanti proprio sul fronte della liquidità che va fatta circolare nel sistema.
Risposte non facili, però. Perché il nodo vero che abbiamo davanti è: come garantire che la liquidità torni davvero a circolare? Come fare in modo che le banche tornino a prestarsi il denaro tra loro? Come permettere che il flusso arrivi effettivamente alle imprese? Come recuperare ai consumi risparmiatori traumatizzati dal calo del prezzo delle case e dei corsi azionari? In sintesi: come immettere liquidità nel sistema per evitare che la crisi finanziaria si avviti nella deflazione e nella recessione.

In fondo, mi ricordavano quegli interlocutori americani, gli economisti che più hanno legato la loro fama all'analisi e al superamento della crisi del '29 hanno incentrato le loro analisi proprio su questo problema.

Uomini come John Maynard Keynes e Milton Friedman, passati alla storia per le loro terapie diversissime, in fondo concordavano nell'evidenziare come proprio i fallimenti della Federal Reserve nel prevenire il collasso della circolazione del denaro fossero stati la ragione principale della Grande depressione.

Quegli errori, oggi, non vanno ripetuti. La diffusione nei gangli del sistema finanziario dell'infezione dei bad loans ha di fatto bloccato i prestiti interbancari. E sono già evidenti i segnali che la crescita della domanda di denaro si sta accompagnando a un collasso di investimenti e consumi che gela l'economia e porta diritto alla deflazione.
Nei mesi scorsi sono stato tra i primi a segnalare questo rischio, e ora è lì che siamo arrivati. Altro che inflazione.

In pochi mesi il collasso nel prezzo delle case e l'arretramento dei mercati azionari ha distrutto ricchezza per 25 trilioni di dollari. Si stima che nel corso del prossimo anno le perdite possano raggiungere i 40 trilioni. E almeno un terzo di queste cifre sono attribuibili ai soli Stati Uniti, vero epicentro della crisi. In questa situazione, chi negli anni scorsi si è indebitato cavalcando l'onda, cioè tanti, e chi semplicemente è colpito dal crollo dei mercati azionari è costretto a limitare i consumi. Il terzo trimestre ha già fatto segnare un netto arretramento della domanda e le previsioni sul quarto sono ancora più negative.

Le imprese, oltre alla difficoltà a onorare i propri debiti finanziandosi come hanno sempre fatto, devono dunque fare i conti con questo calo dei consumi. L'industria automobilistica ha già cominciato a restringere la propria capacità produttiva per fronteggiare il calo dei compratori. E che cosa succederà a chi affittava jet per 10mila dollari all'ora?

In questo scenario i prezzi delle commodity hanno già cominciato a scendere; e quelli di beni e servizi non potranno che farlo presto, rendendo una realtà la deflazione. Se c'è - come c'è - chi appare ancora preoccupato dall'inflazione, farebbe bene a prendere atto di questo scenario. Anche perché la deflazione, incentivando la domanda per asset liquidi, non può che moltiplicare in un avvitamento senza fine la crisi dell'economia reale.

È la lotta alla deflazione, dunque, la sfida che le autorità centrali hanno di fronte. Ed è una sfida che potrà essere vinta solo rimettendo in moto, davvero, la circolazione della liquidità nel sistema. In questo senso non basta quanto è stato fatto finora e quanto ci si prepara a fare in queste ore.
Gli interventi attuati dalla Fed e dal Tesoro americano hanno permesso una prima stabilizzazione del sistema finanziario. Evitare la deflazione, però, richiederà azioni ancora più incisive. Io credo che la Fed dovrà procedere a stampare moneta e immettere direttamente fondi nel sistema, acquistando bond a lungo termine emessi dal Tesoro per finanziare programmi di spesa pubblica e per rafforzare le iniezioni di capitale nelle banche.
Gli interventi sui tassi, d'altra parte, finora non sono serviti a rimettere in moto l'economia. E anche le ulteriori riduzioni che si annunciano rischiano di essere inutili nel contesto che abbiamo descritto.
In situazioni normali il fed funds rate è fissato in base alla Taylor rule, che incrocia il livello d'inflazione e il tasso di disoccupazione. In base a quella regola, oggi il livello dei tassi dovrebbe essere al 3,8 per cento. Se la Fed è invece già scesa all'1,5 - e sta per ridurre ancora - è perché è evidentemente preoccupata proprio dai rischi di deflazione.

E tuttavia il prevedibile forte calo nei prossimi mesi, negli Stati Uniti e non solo, dei livelli di occupazione (un analogo credit crunch nel 1980 aumentò la disoccupazione dal 6 all'8%) porterà presto il tasso previsto dalla Taylor rule sotto lo zero. A quel punto - per evitare un avvitamento nella recessione deflattiva - non rimarrà, appunto, che stampare moneta e alimentare il sistema con massicce immissioni dirette.

  CONTINUA ...»

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